sabato 13 luglio 2013

Io amo un duca, sapete? (Ernestina)



Io amo un duca, sapete? (Ernestina)
è il primo di quattro racconti che ho pubblicato
in Es-Temporanea-24 donne per un romanzo, Genova, Liberodiscrivere,2005.


Io amo un duca, sapete? (Ernestina)

Buongiorno a tutte voi, mi chiamo Ernestina e ho trascorso ben cinquantotto primavere.
Se mi trovo in questo luogo è soprattutto per curiosità, ma in parte perché desidero capire e conoscere come si svolge una seduta di psicoterapia, quali meccanismi ci stiano dietro, insomma.

So che questo corso non è un vero e proprio esame psicoanalitico, ma so anche che, quando ci si trova a parlare in queste situazioni, in qualche modo ci si denuda, senza ottenere alla fine alcun beneficio, se non quello di aver trascorso un pomeriggio in compagnia.
Ah, volete per caso sapere perché non ho fiducia negli psicologi in generale? Il ragionamento è molto semplice: il cervello è un insieme di cellule alimentate da sali, vitamine e proteine che assumiamo col cibo e può capitare che, a causa di qualche carenza, vada in corto circuito. In questo caso lo psichiatra, che è un medico vero, dopo aver diagnosticato la malattia con una visita accurata e delle analisi mirate, ha la possibilità di prescrivere la cura più appropriata.
 Eleonora, un'amica di vecchia data, la pensa in maniera diversa e, per accontentarla e dimostrarle che ho ragione io, mi sono iscritta al corso; sì, diciamo che ho bisogno di vederci chiaro.
 A questo punto, per partecipare, devo raccontarvi qualcosa di me.
Posso, con serenità, affermare di avere un carattere forte e sicuro che mi ha permesso di superare ostacoli di natura diversa, fra cui anche l'unico passo sbagliato che ho fatto in vita mia: l'aver sposato un uomo su suggerimento di un prete.
Ero giovane e con ingenuità credevo che il suo abito lo rendesse infallibile e che chiunque portasse un colletto bianco al collo fosse un saggio perfetto e non un comune mortale come noi!
Tornando alla mia storia, fu proprio frequentando la parrocchia del mio quartiere che conobbi Arturo, mio marito. Orfano di madre, viveva con la seconda moglie del padre, una donna che lo allevò come se fosse suo. Ma anche questo lo capii in un secondo tempo.
Nei momenti morti, prima e dopo le funzioni o l'inizio delle riunioni dell'Azione Cattolica, lui mi parlava della sua vera mamma con dolore. O almeno mi pareva che fosse dolore, prima di rendermi conto che invece era semplice dolorismo.  
Ridete perché ho usato la parola dolorismo? Avete ragione, suona buffa, ma secondo me indica bene quel piangersi addosso delle  persone che non hanno carattere. Il dolore si vive in silenzio o si esprime in maniera rabbiosa, il dolorismo è una nenia continua che  alla lunga addormenta chi l'ascolta tutti i giorni.   Anche Arturo ne era ammalato ed io mi sposai con lui e la sua cantilena, che allora mi faceva pensare alla storia della Piccola fiammiferaia  e toccava le corde della sensibilità immatura.
Nei primi anni di matrimonio, presa dal nuovo ruolo di sposa, dalle incombenze domestiche, dal lavoro che avevo rifiutato di lasciare e dalle iniziative parrocchiali, non mi accorsi di avere sposato  un uomo fantasma. Arturo non interveniva nelle mie decisioni, se mi rivolgevo a lui per un consiglio, mi rispondeva che potevo fare quello che volevo. Pensavo lo dicesse perché mi amava, quando invece si trattava di apatia. Era un brav'uomo, ma valeva poco. L'amore o meglio l'idea romantica che mi ero costruita del l'amore svanì giorno dopo giorno. Mi concedevo a lui, le rare volte che mi cercava, per semplice dovere di moglie. Nacquero così i nostri tre figli e la mia vita continuò a realizzarsi.
 Ecco perché parlo di primavere. Ogni parto ha rappresentato una buona stagione e anche Arturo potrei paragonarlo a una primavera serena, simile ai disegni che rappresentano l'inizio della nuova stagione nei sussidiari di scuola, un ramo fiorito, le uova di Pasqua, le campane senza suono.
Non ho mai provato invidia per le mie amiche che avevano un marito con cui ridere e scherzare. Il mio portava uno stipendio, stava zitto e buono, e mi bastava.
Andavo e venivo da casa a mio piacimento, partecipavo a tutte i pellegrinaggi, da buona cristiana. L'amore?
Capii che l'amore non esisteva se non nella nostra immaginazione, e quindi me lo sono trovato da sola, come da sola ho risolto i problemi dei ragazzi, ai quali ho dedicato la mia vita.
In casa nessuno ha mai saputo niente di questa mia passione segreta: nell'immaginario l'amore si identifica con lacrime, baci, carezze audaci ed io l'ho incontrato, come spesso succede, per caso, e per la precisione nella biblioteca comunale.
Tutto iniziò da una forcina per capelli che mi scivolò a terra: mi chinai a raccoglierla e le mie mani toccarono altre mani, quelle del  duca d’Augias.
 Ah… che amore, immortale e intramontabile. Il Duca, lo chiamo  così anche in privato, è capace di trasportarmi in mondi fantastici, da una chiatta sul fiume, alla periferia di una città, alla Palestina, al laghetto delle oche.
Due anni fa il mio povero marito morì, in silenzio come aveva  vissuto, ma i miei figli non accettano ancora la storia con il Duca, dicono che mi manda fuori di testa.
Quando Arturo era ancora vivo, incontravo il mio amore una volta al mese.
Qualche volta mi accompagnava nei pellegrinaggi, soprattutto in quelli che duravano una o due settimane, ma sempre di nascosto.
Ora che il marito fantasma è andato in cielo dalla sua mamma vera, la sera posso finalmente stare in camera con il Duca. Chiudo In porta, apparecchio il comodino con una tovaglia di lino lavorato  a punto a croce, accendo le candele profumate, verso il rosso nei bicchieri e, presa da questa atmosfera romantica, ceno con lui.
E’ un uomo veramente bello! Alto, snello, il suo corpo atletico ricorda le statue greche e l'azzurro dei suoi occhi, che contrasta con la carnagione scura, lo rende simile a un principe orientale.
Insieme parliamo, ridiamo, ci sorridiamo... Il Duca mi racconta storie sempre diverse, le crociate alle quali ha partecipato, la sua ribellione contro il re, quando prese coscienza che le crociate cristiane non erano altro che uno strumento per ingrandire il Regno.
Tutto questo davanti a un piatto di pasta al ragù di quaglie che non mi fa mai mancare. E poi... è un amante premuroso e attento come ne esistono pochi.
 Da... dove entra in camera? Non entra, ovvio, lui vive nella stanza, nascosto tra le pagine di un libro.
La sera con un pennello spolvero il dorso e, come succede nelle favole, lui appare e viene a parlarmi d'amore.
Ecco: così mi sono costruita la mia immortale passione: il Duca d'Augias e ho risolto anche questo problema.

 

1 commento:

  1. Carissima Sandra, quando leggo una poesia o una prosa, come in questo caso, inevitabilmente mi chiedo quanto dell'autore sia presente nello scritto...la tenererissima fantasia presente nelle tue parole mi fa riflettere, ancora una volta, sulla condizione troppo spesso passiva e dominata dalle responsabilità esistenzali della nostra condizione di donne.Spesso solo la sublimazione della nostra coscienza alienata ci permette di elargire sorrisi al mondo!

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