In Ti parlerò di me... a cura di Max Luciani , Edizioni Nuove Scritture, 2008, pp.151-152
Le scarpe
di Alessandra Palombo
Le scarpe sono sempre state
fondamentali nella mia vita. Ho ancora presente il piacere che provavo da
bambino quando scioglievo le stringhe delle alte pantofole di panno scozzese a
sfondo rosso, tiravo via i calzini e
camminano scalzo sul pavimento.
Sul ripiano dello scaffale metallico
ora tengo due paia di scarpe, quelle moderne, firmate, con la punta quadrata e,
accanto, le vecchie scarpe da ginnastica che da tempo si sono adattate ai
miei piedi sino a perdere l'aspetto
originario.
Infilo le ultime con aria
soddisfatta. Fausta scodinzola, anche lei è contenta. Sa che nelle prime ore
del pomeriggio di ogni sabato, lavoro e cielo permettendo, usciamo a
passeggiare. Non cammino per tenermi in
forma, per quello frequento la palestra, e neppure per abbronzare il mio viso,
vado semplicemente perché sto bene in mezzo al verde.
Il mio corpo ha bisogno di
compensare. Ogni mattina, infatti, prendo la macchina e arrivo al piazzale
della stazione, parcheggio, monto sul treno e scendo in città dove con un tram
raggiungo l'ufficio. La sera, ogni sera,
ripeto il tragitto contrario. Il sabato mi metto le mie vecchie scarpe e, in
compagnia di Fausta, mi avvio verso le colline.
Chiudo il cancello del giardino e
andiamo. L'aria è tiepida, la neve non c'è ancora, ottobre è il mese ideale per
vagare nei campi. Scelgo un sentiero sterrato e inizio la mia passeggiata che
mi porterà a scendere, a salire e a camminare in piano.
Su di una strada laterale si ferma
un camioncino, Fausta abbaia, l'accarezzo sul collo, la calmo e scambio due
parole con il conducente, un vicino, poi taglio di traverso il sentiero ed
entro in una vigna.
Le scarpe affondano leggermente e si
sporcano di terra, Fausta annusa e corre veloce avanti e indietro. Vorrei ci
fosse Anna al mio fianco per condividere questi momenti d'ossigeno puro, ma lei
non vuole sporcarsi le scarpe. L'ho
sposata dopo una delusione d'amore, mi voleva bene, era una cara ragazza.
Adesso mi cura, a modo suo: abbigliamento firmato, viaggi in località esotiche,
cene con gli amici e serate al cinema. È
bella Anna, la corteggiano scherzando i miei amici, io sorrido e li lascio fare
sapendo che non oserebbero andare oltre.
Ma se fosse? Se mi liberassero dalle
scarpe di marca? Se potessi andare alla ricerca di una donna che nel fine
settimana si sentisse libera di camminare scalza sul pavimento? Se volesse poi
infilarsi un vecchio paio di scarpe da
infangare?
Esco da una vigna e rientro sul
sentiero sterrato, tiro un pezzo di ramo secco a Fausta che corre a prenderlo e
lo riporta nelle mie mani.
Arrivo nei pressi di una villa
padronale, molto diversa dall'appartamento che ho ricavato da un'ala della casa
colonica di nonno Giovanni, ma il proprietario attuale ha ospiti e mi limito a
salutarlo con il cenno della mano. Attorno alla costruzione signorile è nato un
piccolo borgo in miniatura composto da casolari di servizio, un tempo adibiti a
pollaio, cantina, forno e stalla che sono stati ristrutturati e inseriti nel
circuito turistico della nuova economia.
Vedo un bambino camminare lungo il
sentiero di ghiaino tra i filari d'ulivi ai cui lati brilla il verde dei
pampini, gli guardo le scarpe, sono comode e usate e sorrido. Lo osservo
scegliere un breve viottolo che porta ad
altre vigne digradanti verso la pianura. La madre lo chiama, anche lei calza
scarpe comode, è carina, mi piace. A suo agio si avvia verso il bambino, come
fosse nata dalla terra.
Guardo l'orologio, è tardi devo
rientrare per non sentire i brontolii di Anna.
Stasera si esce a mangiare una pizza
con gli amici e dovrò rimettermi le scarpe firmate.
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