Alessandra Palombo, iomare, Liberodiscrivere 2004
Il percorso acquatico si srotola in orizzontale, curvo per quanto è tondo il pianeta che ci sopporta.
La
questua, patita di mare in mare, richiede l’ausilio di un remo-bastone
per spingersi tra le onde della memoria: quel bagaglio di passioni,
pensieri e palpiti idonei, anche se scompigliati talvolta, a svelare noi
a noi stessi affinché si arrivi a conoscere l’essenza del nostro Sé:
“cerco me, nel mio mare,/ per capire chi io sia”.
Remo-bastone sono i
brani del cantore più amato, Teognide o Achmatova, come le riflessioni
meglio incise nell’animo in moto di pellegrinaggio; e persino gli
stralci di cronaca o i suggerimenti offerti da qualche giornale a
salvaguardia del nostro benessere fisico.
L’unica verticalità è
quella che a precipizio va incontro al fondale dell’acqua interiore:
ambito esclusivo nel quale guazza lo spirito nella sua smania verso il
Settimo Mare; laddove il remo-bastone, deposto, non compare, né serve
più, giacché acqua-salata e coscienza-di-sé formano quel tutt’uno
chiamato Iomare.
Il gabbiano, gatto che vola, cerca ancora una salpa o
una mèndola per la propria fame, ma la ricerca non impegna oltre, né
chiede ulteriori risposte.
La geometria delle stelle e dei battiti
cardiaci, necessario aiuto alla tribolazione del navigare, è contenuta
in un unico cielo senza un Profeta che lo voglia scalare. La metafora
deambula il mare al plurale, quella raccolta delle acque alla quale il
Padreterno appioppò il nome di “Mari”.
L’evoluzione della gagliardìa
vitale ha la sua trama nei liquidi, anche in quello del sangue aggrumato
che talora si squaglia e si sparge nello spiazzo consacrato a tempi
laici di devoto rigore e religioso rispetto.
Così nel Primo Mare lo
spirito, attore scanzonato e immaginifico, alita tra i “capelli
spettinati” di un’infanzia in posa, quindi ancora condizionata da una
motivata vanità: “modificare la cornice del mio seno”, si chiede.
Le
prime bracciate nel sale liquido sono indolenti e lente, foderate di
sonno. Ma “l’energetico miele di ecucalipto”, maestro di possessione, ha
forza di pazienza nell’attesa dell’impatto con il femminino:
l’abbraccio sarà cosmico, in unità di anima e corpo.
Vi è poi il rito
della purificazione, come all’ingresso di un recinto sacro, e il
momento di cogliere i significati che anelano ai segni vitali, utili per
“penetrare la trama del destino”.
Il “poeta ormai cieco” ha buoni
gli occhi dell’anima, e gioisce con agio del vento che disfa corolle di
fiori e ciocche di capelli, del giuoco che corre sui prati e giù per le
valli: Oh, il mare amniotico!, nostalgico inciampo d’ogni essere umano.
Nel
Secondo Mare la solitudine e la dispersione dei punti di riferimento
diventano angoscia lontana, e i sapori di mare e di terra circolano
nelle stanze del cuore più che tra le pareti dello stomaco. Intanto il
desiderio spinge ancora oltre le sue occhiate, mentre persone e cose di
un amato circuito urbano, qual è in questo caso la Livorno di tempo
addietro, rotolano suoni e inciampi graditi.
Nel Terzo Mare, dopo
stagioni clementi, è l’inverno che infuria, al punto che lo spirito si
fa una girata in groppa a un gabbiano, mentre “pesci azzurri
sprizza...no / gocce d’argento”.
Qui si leva l’ode alla navigazione,
una delle più belle mai ascoltate: la vita sui bastimenti a vela e i
vecchi del mare: si chiamino essi Colombo o Papà Pennello… Il ritorno è
sempre all’isola, l’ago della bussola punta allo “scoglio”: all’Elba
come a Itaca.
Nel Quarto Mare, in acqua pescatoria, la voce la danno
granchi, spugne, polpi: battiti di chele, soffi di piccoli polmoni
liberati, guizzi di alette e schizzi di tinticcio… interiorità dedite
all’espressione. E sono vive e pulsanti le alghe e le barche, i sassi di
fondo e le banchine, le velelle e le petroliere, le darsene e gli
oceani.
Nel Quinto Mare vi è smarrimento, sì, ma piena percezione del
proprio corpo come barca che ci porta: “a te, acqua, / offro il mio
corpo, / a te, onda, di giocare con la nuca, / a te, mare, / di
sommergermi, tutta / al largo”.
Nel Sesto Mare, vibra la luce e
l’intreccio di fibre e significati patito e operato da dita assidue. Vi è
colloquio, finalmente vibrante, e la bella immagine di un atto amoroso:
“Un faro e la luna a baciarsi nel buio e / via tra i flutti a rotolarsi
le gocce”.
Nel Settimo Mare è la catarsi, l’appagamento dello
spirito che si era messo in cammino. L’abbandono “al canto del vento /
Voce del mare”: la donna dell’isola, di qualunque isola come luogo
circoscritto e separato, è qui disegnata con immagini ricche di un
vissuto sacrificale, fino ad essere Persona: l’onda la fa apparire
mutevole, ma non è lei che si muove.
Non manca la conclusione di
questa musica in acqua: è il Post Scriptum, quel Do che arriva dopo la
scalata delle sette note, e fa riprendere il ciclo, evoca resurrezione e
speranza. Caffè e brioche sono un riferimento mattiniero che
distribuisce consolazione, e però l’intreccio di significati si compie
oltre lo stato sensibile, quando l’orizzonte della propria interiorità
non conosce né alto né basso, quando l’Iomare percepisce padronanza di
dimensioni e stati di coscienza.
Manrico Murzi
Genova, 4 giugno 2004
Sandra è creatura di mare e di isole. Riesce a far annusare il sale delle marine e il profumo delle tamerici che crescono sulle spiagge. Ed è un'artigiana di nuove parole, che personalmente amo molto: iomare, isolitudine,amamore...
RispondiEliminaM.Gisella Catuogno
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RispondiEliminaGrazie Gisella! S.
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